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domenica 30 ottobre 2011

halloween storie

Storie horror e da brivido da leggere in compagnia, al buio o alla fioca luce di una candela tremolante, la notte di Halloween. Brividi assicurati!
«Ancora.» Era un Freddy Kruger particolarmente esigente e tracagnotto: la razione non gli era bastata, ed era rimasto con le braccia grassocce tese, la bocca seria come un funzionario delle tasse, mentre le lame di plastica si staccavano dal guanto. Frank sorrise e gli versò altri dolcetti alla cannella e al miele, a forma di ossa e teschi. Il bambino non disse niente, scappò fuori dal giardino come un ladro dopo un colpo favoloso. Frank chiuse la porta, spense il sorriso e tornò in salotto. Si lasciò risucchiare dalla sua vecchia poltrona. Era cominciata la grande maratona horror alla TV. Di là dello schermo un mostro verde era emerso da una palude e si stava dirigendo verso le luci di un paese, ma Frank non riusciva ad appassionarsi alla storia. In quella notte gli spiriti tornavano a mescolarsi con gli uomini, e le persone morte l’anno prima avrebbero potuto trovare un nuovo corpo per tornare in vita. Se avesse prestato fede alle leggende su Halloween, quella avrebbe potuto essere la sera buona per sperare ancora, ma Frank era così vuoto che spesso udiva la propria voce e non credeva neppure di esistere. Quella sera era buona soltanto per una commemorazione funebre. Dave. Si aggrappò alla bottiglia di birra in bilico sul bracciolo come se fosse uno sperone di roccia. Si sentiva cadere. In realtà era già da un anno che cadeva. All’inizio, aveva cercato in tutti i modi di tirare avanti: si era tuffato nel lavoro, ma il dolore non diminuiva. Ogni giorno che passava era come un nuovo carico di terra che un camion gli scaricava addosso, e la festa di Halloween lo aveva sorpreso vuoto, e con la certezza che tutto quello che doveva succedere era ormai successo. Dietro lo schermo del televisore il mostro si era appostato in un vicolo buio, in attesa della sua prima vittima. Dave impazziva per i film dell’orrore, e fu nel reparto horror di un negozio di noleggio che i due si erano incontrati per la prima volta, il 31 ottobre di due anni prima. Lui, un giovane professore di chimica, e Dave, un ventiquattrenne che lavorava al fast food della zona. Si erano scontrati di fronte al DVD di Profondo Rosso - roba vecchia d’importazione - e Frank aveva perso l’equilibrio cadendo a terra. Quando Dave gli tese la mano per aiutarlo e scusarsi, Frank vide che tremava. Lo aveva rassicurato dicendo che non era successo niente, ma il giovane si era fatto piccolo piccolo e Frank temette che potesse mettersi a piangere. Fu proprio la timidezza di Dave a permettergli di scambiare qualche parola più del dovuto, e mentre riusciva a strappargli un sorriso, notò che il viso del giovane era come un’alba pulita dalla pioggia, con grandi occhi azzurri, e la sua pelle liscia gli ricordava il latte. Quella notte fu la più agitata degli ultimi anni. Del resto, da troppo tempo Frank era alla deriva in una solitudine che non sembrava avere fine. Cominciò a frequentare il fast food dove Dave lavorava, e a poco a poco riuscì a farci amicizia. Un suono acuto risalì le sue orecchie. Frank riemerse dai ricordi. In TV c’era un ispettore di polizia accanto al corpo martoriato di una donna. Evidentemente il mostro verde era riuscito nel suo intento omicida. Quel suono tornò. Il campanello. Dietro la porta c’era un rumore impaziente. Frank si alzò e si trascinò fino all’ingresso, prendendosi il tempo per riaggiustare un’espressione simpatica sulla faccia. «Dolcetto o scherzetto?» Erano due zombi e uno scheletro. «Dolcetto! Dolcetto!» sorrise Frank. Allungò una mano su un mobile e pagò allo scheletro, che sembrava essere il capo, la salvezza per quella sera. Il ragazzo, diffidente, guardò nel suo sacchetto e prese in mano uno dei dolci appena ricevuti: era un biscotto, grande quasi come il suo palmo, a forma di cuore, e con la glassa che disegnava un piccolo e simpatico teschio al centro. «Sono bellissimi!» «E buonissimi!» aggiunse Frank. «Li ho fatti con le mie mani. È una mia idea.» Lo scheletro parve non sentire le parole di Frank. Si infilò il sacchetto sotto il mantello e fuggì. I due zombi lo inseguirono, dopo aver dato un’occhiata stupita alla zucca colorata che Frank teneva in bella vista sulla finestra. Almeno quei tre avevano notato i biscotti che aveva cotto apposta per i ragazzi della zona. Invece, molto probabilmente, il Freddy Kruger di prima li aveva inghiottiti senza neppure guardarli. Chiuse la porta e tornò in salotto. Si ributtò sulla poltrona in cerca di una birra. Aveva scoperto che Dave viveva con il padre, un severo ex-colonello dell’esercito, o qualcosa del genere, mentre la madre era morta tanti anni prima, quando lui era ancora piccolo. Il ragazzo aveva fatto dentro e fuori in un mucchio di centri specializzati nella cura delle malattie nervose. Frank era convinto che Dave non avesse nessun problema, ma che fosse solo un ragazzo eccezionalmente sensibile. Non aveva amici se non qualche conoscenza superficiale al lavoro. Con gli estranei era taciturno e abbastanza nervoso, e a volte, quando la situazione gli procurava imbarazzo, perdeva il controllo e poteva apparire come uno che avesse dei problemi mentali. Ma Frank era certo che fosse un mezzo genio. Avevano stabilito una sintonia fin dal primo incontro, e Dave riuscì ad aprirgli il suo universo. Non andava all’università, ma leggeva moltissimo, e sapeva inventare certe storie fantastiche o improvvisare per scherzo delle poesie che lasciavano Frank sempre esterrefatto. Era chiaramente un ragazzo che soffriva, anche per il fatto che viveva la sua omosessualità come una colpa segreta. Ma il padre era convinto che Dave fosse malato, e quando tornava a casa sventolava sotto agli occhi del figlio confezioni di nuovi antidepressivi e indirizzi di importanti specialisti. Per un mese il ragazzo fu costretto a soggiornare in un istituto a Philadelphia, e fu allora che Frank capì di non poter vivere senza di lui. Aveva una paura terribile di perderlo, ma il giorno che Dave fece ritorno a casa ogni muro crollò. Quella sera erano usciti da un cinema, e non la smettevano di commentare il film horror appena visto. Frank sentiva l’odore intenso della pelle del compagno, mescolato con la fragranza di cocco che saliva dai fianchi, dal petto. Le mani del ragazzo non tremavano e il viso guardava con serenità la gente. All’improvviso Dave si voltò verso di lui e gli disse: “sto veramente bene con te”, e questo era tutto ciò che Frank voleva sentire. Si erano trovati come un naufrago e l’isola, quando tutti e due si erano sentiti perduti in mare. Frank osservò la sua enorme zucca tutta dipinta di blu. A vederla da dietro sembrava quasi la testa di uno che stesse affacciato dietro al vetro a guardare le maschere dell’orrore girare per le strade. Ancora il campanello. Un altro rimbalzo fino alla porta d’ingresso. Questa volta era il piccolo Charlie, avvolto in un lenzuolo che lo faceva inciampare a ogni passo. «Dolcetto o scherzetto?» Frank ripassò il solito rituale. «Signore, perché ha dipinto la zucca di blu?» chiese prima di andarsene. «Perché è un bel colore. Il più bello, non trovi?» Il bimbo rimase sospeso nei suoi pensieri, tutto concentrato come se stesse risolvendo un problema di meccanica quantistica. «No! Il più bello è il rosso!» e scappò via come un vero fantasma. Frank rimase un istante fuori: la notte era fredda e pulita come una lastra di marmo. Una luna paffuta si dondolava in alto, ma la luce che buttava giù schiariva appena le ombre dei mostri che correvano di casa in casa. Rientrò. Fissò la zucca. L’aveva dipinta tutta di blu. Era il colore preferito di Dave. Non un blu qualsiasi, ma una tonalità ben precisa: blu di Prussia. Su questo il ragazzo era molto preciso: assicurava che era il colore più buono di tutti, come diceva lui, un colore che ti poteva far volare lontano. E per chi sapeva guardarci dentro, il blu faceva occhieggiare un verde nascosto, come le distese d’erba che avrebbe sorvolato se si fosse fatto inghiottire dal colore. Ora il mostro verde era tornato in paese e stava sfidando i suoi nemici. Invano, ma non lo sapeva. Un po’ come lui e Dave. Fu un’ombra del passato di Dave a far precipitare la situazione. Frank non avrebbe mai saputo perché quell’ombra era tornata. Una mattina il padre trovò nella cassetta delle lettere una busta. Dentro, delle foto di Dave insieme con un altro ragazzo, nudi su un letto in una camera di un motel. C’era una breve nota allegata: il mittente non era un ricattatore, lo aveva fatto solo per il piacere di rovinare Dave. Il padre pestò a sangue il figlio, promettendo sfaceli. Ogni giorno gli mangiava la faccia quando lo incrociava per casa, e gli assestava un paio di pugni se gli pareva di non essersi sfogato a sufficienza. Poi, alla rabbia seguì l’indifferenza, e l’ex-colonnello divenne un estraneo gelido e tagliente come un coltello. Dopo qualche giorno, gli comunicò la sua decisione di farlo ricoverare in una clinica per un lungo periodo. Con le sue conoscenze non sarebbe stato difficile far passare il figlio per un povero demente. Appena poteva, Dave si rifugiava a casa di Frank, e alla fine gli raccontò tutto. Fu costretto a farlo, perché Frank era intenzionato ad andare dal padre e chiarire con le buone o con le cattive tutta la faccenda, cosa che per il ragazzo equivaleva alla morte, più o meno. L’altro ragazzo delle foto era il suo ex, un teppista che non aveva mai mandato giù l’idea di essere stato lasciato. Forse era stato lui a vendicarsi, dopo così tanto tempo. Le foto le avevano fatte con l’autoscatto. Frank rimase gelato: non sapeva che Dave avesse avuto un’altra storia, soprattutto non se lo immaginava perché una volta glielo aveva chiesto, e lui aveva risposto di no. Perché glielo aveva nascosto? Con gli occhi gonfiati dalle lacrime, il giovane disse solo che se ne vergognava, che era stato uno sbaglio, e non voleva che lui pensasse male. Poi tacque. Ma la situazione peggiorò in modo grottesco: a quanto pare, il segreto nascosto nella lettera era divenuto di dominio pubblico. Forse per colpa del suo ex. Gli adulti si limitavano a guardare storto Dave e a fare velenosi commenti dopo il suo passaggio. Ma la crudeltà venne dai più giovani. Forse i genitori avevano detto loro che Dave era un tipo da evitare, un malato o cose del genere. I bambini e i ragazzi della zona cominciarono a prenderlo in giro, ovunque lo incontrassero: per la strada, nei negozi e anche sotto casa. Proseguirono con gli insulti, e poi con mille scherzi idioti. Ogni giorno. Le crisi nervose si decuplicarono, e Dave perse il posto di lavoro. La notizia dovette passare dai più piccoli ai ragazzi e, in particolare, a una banda di sbandati che pensarono bene di attendere Dave sotto casa, e di pestarlo, così, giusto per sapere come grida un gay quando gli molli un calcio nelle palle. L’ex-colonnello non denunciò l’aggressione, e si limitò a non urlare in faccia al figlio il suo disprezzo. Da allora Frank non vide più il ragazzo che amava, ma solo un fantasma che non riusciva neppure a camminare senza fare gesti strani o sbavare. Lo stava perdendo. Frank tentò il tutto per tutto e gli propose di andare a vivere da lui, ma Dave, in un momento di lucidità, rifiutò. Temeva che la cosa avesse dei risvolti negativi. Del resto, chi aveva combinato quel casino si era ben guardato dal far cenno alla sua relazione con Frank, e suo padre era capace di tutto, anche di rovinargli la carriera di professore. L’ultima volta che lo vide, Frank cercò di svegliarlo rimproverandolo per la sua debolezza. Semplicemente, aveva perso la pazienza e non ce la faceva a vederlo soffrire così. Dave lo guardò stupito, dietro una maschera irriconoscibile. «Il problema è solo mio», balbettò. «Io non sono di questo mondo.» Poi lo guardò triste, lo baciò appena, come se fosse infastidito, e scomparì. Fu l’ultima volta che lo vide, e dell’ultimo incontro gli rimase l’immagine che lo ha perseguitato per un anno fino a quella sera: Dave che si allontana caracollando come un ubriaco, con la schiena piegata, mentre i ragazzi, grandi e piccoli, gli urlano dietro e lo spintonano. Due giorni dopo, il 31 ottobre dell’anno prima, il padre lo trovò impiccato in camera. Frank non riusciva a liberarsi dal pensiero che l’ex-colonnello avesse potuto emettere un sospiro di sollievo alla vista del figlio che pendeva nell’aria. I minuti passarono, e alla TV il mostro verde giaceva nella piazza della città, morto e disteso in una pozza di liquame scuro che doveva essere il suo sangue. Intorno, i poliziotti - con l’ispettore in testa - esultavano di gioia. Frank finì l’ennesima birra, e solo dopo aver fatto rotolare lontano l’ultima bottiglia fissò il vassoio di dolci che teneva sul tavolino. Il mostro era stato sconfitto, e il film era finito. Ne stava cominciando un altro, ma non importava. Era sempre la stessa storia. Agguantò il vassoio e guardò i biscotti che lui stesso aveva preparato, quelli con la glassa a forma di teschio. Fissò la zucca blu. Dave era un sognatore, un tipo estroso, e al blu di Prussia sapeva ricollegare scenari fantastici, sogni e versi di poeti famosi. Frank era molto meno fantasioso, ma sulla tomba del suo amore ringraziò Dio di essere così ottuso e materialista. Perché a un chimico come lui il blu di Prussia non poteva che ricordare una cosa: il cianuro. Sapeva che da quel colorante era possibile isolare l’acido cianidrico, e poi produrne i sali. Cianuro. Di potassio, per l’esattezza. Ottenerlo non era stato difficile per un chimico come lui. Era riuscito a introdurre il sale finemente pestato nella pasta dei dolci, senza che il composto si degradasse in alcun modo. Quando gli era balenata l’idea per la prima volta, si era ritrovato con un sorriso idiota e gli occhi pieni di lacrime. Gli parve di sentire un grido strozzato, ma non ne era certo. C’era così tanta confusione là fuori. C’erano i bambini, l’ultimo anello della catena che aveva spezzato la vita di Dave. Avrebbe voluto far fuori il padre, ma subito dopo la tragedia l’uomo aveva traslocato, ed era partito per una destinazione ignota. Avrebbe voluto far fuori quell’ombra che aveva dato inizio a tutto, ma, a dire il vero, aveva solo un nome e nemmeno un volto: quelle fotografie non le aveva mai viste. Rimanevano loro, i bambini. I meno colpevoli. Avrebbe compiuto una vendetta vile, da quattro soldi. Che schifo di mondo. Ricordò l’ultima immagine di Dave. Questa volta era abbastanza sicuro di udire le urla di alcuni ragazzi in mezzo alla strada. Sentì dei pianti, bambini che chiamavano i genitori. E, appena percettibili, dei gorgoglii. Frank immaginò la cascata di reazioni che doveva squassare il corpo delle vittime: all’inizio, dallo stomaco risale un sapore amaro e pungente, mentre la gola s’intorpidisce e diventa pesante come un masso. Poi la testa comincia a girare, a far male, e senza accorgersene ci si ritrova a terra, a cercare di prendere aria con respiri spezzati e irregolari. Nel frattempo arrivano le convulsioni, e si è sommersi dall’odore di mandorle amare che risale dai visceri che bruciano. Poi, dopo pochissimo istanti e tanto dolore, il cuore si ferma. Addio, gente. Sì, qualcosa stava succedendo. Le voci e gli strilli si accavallavano in un’unica onda poderosa, che stava sommergendo tutto il quartiere. Frank si sistemò sulle gambe il vassoio e cominciò a mangiare i suoi biscotti, senza fretta. Finché poté, non staccò gli occhi dalla sua zucca blu. Voleva chiudere ogni conto, in quella sera e con quel colore davanti. Halloween in blu. Tutto era finito e perduto per sempre, ma almeno sarebbe andato là dove Dave era sempre stato: fuori del mondo.

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