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martedì 8 novembre 2011

Dante Alighieri

OPERE Convivio Il Convivio fu scritto tra il 1304 e il 1307 e doveva comprendere 14 canzoni con 14 trattati- commento più un libro introduttivo. La struttura è quella della Vita Nuova, ma qui si espongono l’amore per la sapienza e vi è un impegno con la realtà morale e civile. Il progetto non fu portato a compimento: fu composto il libro introduttivo e i primi 3 trattati con le rispettive canzoni: Voi ch’intendendo il terzo ciel movete, Amor che ne la mente mi ragiona e Le dolci rime d’amor ch’io solia. Nel I trattato, che è il proemio, espone i fini dell’opera, cioè offrire un banchetto di sapienza a tutti i nobili, sia di nascita, sia di una nobiltà spirituale ed etica. Per Dante un pubblico che sia capace di rivolgersi alla cultura per il solo amore per il sapere deve diventare la nuova classe dirigente delle città e contribuire al ristabilimento di un’ordinata convivenza umana. Nel II trattato Dante spiega che seguirà un metodo di lettura allegorico per spiegare le poesie. Poi commenta la prima canzone e descrive l’impianto dei cieli che sarà alla base del Paradiso. Il III trattato è un inno alla sapienza e perciò alla filosofia, all’intelligenza e al sapere che sarà un tema importante anche nella Commedia. Nel IV trattato si affronta il tema della vera nobiltà, che secondo Dante si conquista con l’esercizio delle virtù e non con la nascita. Si parla anche di una teoria politica di Dante incentrata sulla necessità di un impero universale, sviluppata poi nella Monarchia. La prosa in volgare è costruita da ragionamenti e argomentazioni, perciò risulta tesa e robusta. Il motivo dell’interruzione non è noto, ma si pensa che l’opera fu superata dal delinearsi del grande disegno della Commedia. Mentre con il Convivio Dante voleva dividere con l’umanità il suo amore per il sapere e la sua sapienza stessa, con la Commedia Dante vuole dividere con gli altri le proprie visioni sul futuro dell’umanità. De Monarchia E’ un lavoro di riflessione politica che ha radici nella realtà contemporanea. Scritto in latino, è un’opera dottrinale e compiuta, suddivisa in 3 libri. Nel I libro si dimostra la necessità di una monarchia universale, il II dimostra come l’autorità imperiale discenda da Dio, e il III affronta i rapporti tra Impero e Papato. Dante afferma che i due poteri sono autonomi e discendenti entrambi da Dio. L’impero ha come fine la felicità dell’uomo in questa vita, il Papato nell’eternità. La loro azione è tuttavia complementare. Si tratta quindi di un’utopia destinata a non avverarsi e che, anzi, avrebbe riportato indietro il corso della storia, in cui i due poteri erano entrambi decaduti. De vulgari eloquentia Il De vulgari eloquentia, scritto in latino, riprende ed amplia il discorso sulla dignità del volgare. Si tratta di un trattato di retorica che fissa le norme per l’uso della lingua volgare, il cui obiettivo è la trattazione di una lingua letteraria, non solo di uso comune. Doveva comprendere 4 libri, ma fu interrotta a metà del 2°. Il I libro imposta il problema di un volgare illustre, adatto ad argomenti elevati ed importanti. Questo “volgare” deve essere: cardinale, cioè far da cardine a tutti i dialetti municipali; aulico, cioè proprio del palazzo reale; curiale, cioè rispondere alle esigenze delle corti. Anche se non ci sono regge e corti, ne esistono molti esponenti, cioè letterati e dotti. Nel II libro definisce gli argomenti per cui occorre uno stile tragico: le armi, l’amore e la virtù. La forma poetica in cui si deve concretare questo stile è la canzone. Nel De vulgari eloquentia Dante allarga il campo poetico della nuova lingua letteraria, spostandolo dall’amore a tutti gli argomenti morali ed epici. Egli interrompe questo trattato per la Commedia, che parla in volgare non più tragico, ma comico. La vita nuova La Vita Nuova è una raccolta di 31 liriche in una cornice di prosa, in cui Dante, all’interno dello stilnovo, elaborò un personale concetto di amore, non più solo fonte e frutto di nobiltà spirituale, ma sentimento che apre all’uomo la conoscenza (di tipo “analogico”) del Divino, tramite la contemplazione della perfezione e della bellezza della donna amata. Dante incontra Beatrice per la prima volta all’età di 9 anni e ne prova una tale impressione che Amore diviene signore del suo animo. La rivede dopo 9 anni (questo numero ha una valenza simbolica e allude al carattere miracoloso della donna) e lei lo saluta. Da allora egli ripone tutta la sua felicità nel saluto della “gentilissima”. Per nascondere il suo amore finge di osservare altre donne “schermo”. Questo suscita le chiacchiere della gente, e provoca lo sdegno di Beatrice che gli nega il saluto. Dante ne soffre terribilmente. Presto capisce che non è importante il saluto, quanto le parole che può scrivere a lode di lei, parole che non possono venirgli meno. Così inizia un ciclo di lode a Beatrice. Durante una malattia ha una visione, in cui Beatrice muore, e dopo poco tempo lei muore realmente. Egli è molto addolorato e cerca consolazione nello sguardo di una donna, simbolo della filosofia. Ma Beatrice gli appare in sogno, colma di gloria del Paradiso, e Dante è innalzato all’Empireo da Amore. L’opera si conclude con la decisione di non parlare più di Beatrice, se non quando potrà farlo in maniera degna. 1. Effetti che l’amore produce sull’amante amore nei canoni dell’amore cortese, il saluto è simbolo di appagamento esteriore e materiale. 2. Lode della donna→ amore non per averne qualcosa in cambio ma fine a se stesso, appagamento nel contemplare e lodare la donna amata. 3. Morte della gentilissima amore che innalza l’anima fino alla contemplazione del cielo, appagamento nel contemplare Beatrice nella gloria dell’Empireo. Nello stilnovismo l’amore era un processo discendente: Dio- donna- uomo, e solo in parte ascendente: uomo- donna. Invece in Dante il processo diventa del tutto ascendente: uomo- donna- Dio. "Le epistole" Dante scrisse nel 1310 tre epistole, alla notizia della discesa dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Erano in latino ed indirizzate ai reggitori d’Italia, agli scellerati fiorentini e ad Enrico stesso, e vi era espressa la speranza di riuscita del ristabilimento dell’autorità e la paura di fallimento. L’Epistola XI del 1314 è di carattere politico, diretta ai cardinali italiani che avevano trasferito la sede papale da Roma ad Avignone. Nel 1315 scrive una lettera a un amico fiorentino, in cui rifiuta di tornare a Firenze e da questa traspare tutta la tristezza e il senso di dignità di Dante. Collegata alla Commedia è l’epistola a Cangrande della Scala, che contiene la dedica del Paradiso al signore di Verona, importante perché contiene indicazioni di lettura del poema: la condizione delle anime morte, la pluralità dei sensi e dei livelli di lettura, il titolo per la fine felice, la finalità dell’opera.

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